SIEPE MEDIA MULTIFUNZIONE

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La siepe dell’immagine è una parte della siepe posta nel confine Est del mio terreno. L’ho piantumata 15 anni fa in autunno con piantine a radice nuda provenienti dal vivaio forestale. E’ piantumata su una fila e posizionata Nord-Sud.

Le specie che compongono questa siepe per lo più sono molto adattabili e rustiche, sia nei confronti della tessitura del terreno (argilloso o sabbioso), sia per il ph.

Alcune sono più adatte ad un clima mediterraneo come Lentaggine, Alloro, Leccio, Lentisco. Le altre oltre ad ambienti mediterranei, litoranei e di pianura si adattano anche a zone collinari e submontane.

Ho potuto constatare nel campo coltivato posto alla sua destra che questa siepe nonostante non sia di altezza notevole, svolge una funzione di protezione dai venti freddi e dalle basse temperature.

Oltre all’aspetto decorativo con le belle fioriture del Lillà, Ginestra, Biancospino, Maggiociondolo, Prugnolo, e la funzione di equilibrio con il campo coltivato dando ospitalità ai predatori dei parassiti delle coltivazioni, offre altri vantaggi: frutti da Melo e Pero selvatico, Sorbo domestico, Noce, Prugnolo, Visciolo, Corniolo; legna e ramaglia da ardere un po’ da tutti, produzione di miele da Visciolo, Biancospino, Ligustro, Prugnolo, Lillà, Alloro etc.; uso officinale/cosmetico da Biancospino, Ligustro, Corniolo, Lantana, Alloro, etc.; etc.

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Nell’immagine soprastante la stessa siepe vista da Sud.

 

 

 

LO STOPPIONE (Cirsium arvense)

Lo stoppione si riproduce per seme e per radici che sono a fittone.

In piante di più anni queste radici sono collegate mediante formazioni rizomatose. Per questo è pianta poliannuale.

E’ una pianta molto forte e rustica. E’ una selvatica che indica terreni argillosi, a volte costipati con ristagni d’acqua. Difficilmente l’ho notata in terreni sabbiosi o tendenti al sabbioso.

Ho estirpato manualmente una volta  uno stoppione con una radice fittonante lunga ca. 60 cm. Ovviamente questo è possibile dopo una pioggia quando il terreno è bagnato; quindi è preferibile aspettare una bella pioggia per estirparle.

Più spesso un pezzo di radice, nell’estirpazione manuale o nella lavorazione meccanica, rimane nel terreno (anche a 30-40 cm di profondità. Il tempo di ricaccio, però, è relativamente abbastanza lungo (specialmente con un andamento climatico asciutto), quindi non è un grosso problema, soprattutto se la pianta coltivata ha un ciclo di accrescimento veloce e buona capacità colonizzatrice del terreno.

Lo stoppione è una selvatica,  a portamento eretto (prima della levata a seme può raggiungere anche i 40-50 cm di altezza) ,   che può essere lasciata (ovviamente dipende dalla sua diffusione ed altezza) vicino a colture seminate o trapiantate ormai sviluppate.

Vicino ai cavoli, rucola, bietole, ravanelli lascio sempre, se presente, qualche stoppione perchè, ho notato in un anno a forte infestazione di altiche (piccolo insetto che mangia le foglie tenere, facendo dei piccoli buchi circolari) che questi insetti preferivano lo stoppione alle colture.

Ultima cosa: preferibile indossare i guanti per l’estirpazione, che i primi anni dell’orto mi ero “intestardito” a non usare. Più di una volta mia moglie è dovuta intervenire per togliermi dalle dita i microscopici e “fastidiosi” spini della pianta.

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STOPPIONE (Cirsium arvense)
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STOPPIONE In evidenza le radici a fittone
Cavoli altica
ALTICA delle Crucifere (cavoli, cima di rapa, ravanello, etc.)

RADIOLOGIA AGRICOLA

Qualche anno fa conobbi il proprietario ormai sessantenne di una piccola ditta sementiera (direi a livello familiare) vicino al paese in cui vivo. Questo gentile signore non solo per tutta la sua vita aveva commercializzato sementi (per lo più di ortaggi) ma aveva anche costituito delle varietà con il suo lavoro di “genetista” autodidatta fatto di esperienza e passione.

Per motivi di lavoro ebbi modo in quel periodo di frequentarlo spesso. Non essendo “geloso” delle sue conoscenze ormai più che quarantennali mi passò molte informazioni sulle vecchie varietà , i metodi delle coltivazioni da seme, i metodi di selezione, etc.

Ad. esempio aveva fra i suoi semi una varietà di finocchio medio-precoce (con raccolta novembre) che era stata costituita dal nonno (il fondatore della ditta) ; ebbene, riuscì impiegando circa 15 anni, a “trasformarlo” in un finocchio tardivo (raccolta marzo-aprile). Come? I primi anni i finocchi che sopravvivevano all’inverno erano molto pochi (il primo anno addirittura solo uno) e poi via via, partendo da quei pochi, ne sopravvivevano sempre di più fino ad ottenere, dopo 15 anni, quasi tutti i finocchi resistenti al freddo dell’inverno della zona

Questo fu possibile con il meccanismo naturale della variabilità (tutto nell’universo è in continua trasformazione), necessario per la sopravvivenza delle specie e con la selezione fatta dall’uomo.

Ma quello che ancora oggi mi è rimasto impresso nella memoria è quello che mi disse a proposito del pomodoro “Piramide”. Siamo negli anni sessanta ;  vendeva diverse varietà di pomodori, fra cui un tipo di san Marzano molto comune (lunghezza 6-8 cm.). Aveva un amico radiologo che lavorava all’ospedale del paese. Avendo letto in una rivista di agricoltura delle mutazioni artificiali fatte con i raggi x e avendo parlato con altri suoi “colleghi” sementieri che avevano incominciato ad usare questo mezzo , portò i semi di questo San Marzano da questo suo amico che li sottopose ai raggi x., tra una radiografia e l’altra ai pazienti dell’ospedale,

Da questi semi, poi, una volta seminati ottenne alcune piantine, la maggior parte con mutazioni “mostro”  (molti semi non germinarono, molte piantine morirono dopo la germinazione) , solo un paio riuscirono ad arrivare alla fruttificazione dando un pomodoro  “utile” commercialmente, registrato poi con il nome di Piramide, più grande di diametro, più lungo (15-17 cm.) e più pesante.

Cioè si è creata artificialmente la variabilità per potere poi fare la selezione.

Saranno concetti e tematiche che cercherò di sviluppare in seguito, perchè molto importanti sotto varie ottiche (alimentari, salutari, economiche, sociali, etc., etc.).

Nell’immagine sottostante Pomodoro Piramide

 

Tomate Piramide Pomodoro Piramide semi

 

RICETTE…SELVATICHE

ERBE DI CAMPO”STRAGINATE”

A me piaceva molto quando, da bambino, mia madre mi faceva da mangiare le erbe di campo “straginate”.

Era il 1960;  abitavamo ad Ancona, in un palazzo adiacente ad un mercato, in cui ogni mattina i contadini (allora si chiamavano ancora contadini) vendevano le loro verdure. Spesso mia madre mi portava con  lei; vedevo che era molto esigente; faceva il giro di tutti i contadini e ogni mattina (allora si faceva la spesa tutte le mattine, non c’erano ancora i supermercati e i centri commerciali) comprava la verdura per lei migliore come freschezza e qualità. Di solito un paio di giorni alla settimana acquistava le erbe di campo.

Poi a casa magari ogni tanto si lamentava con mio padre “ma guarda quella contadina mi ha dato tutti crespigni”  o  “queste papole sono tutte in cima”. Spesso me le cucinava per merenda mettendomele tra due fette di pane. Quando l’acqua bolliva le metteva nella pentola e una volta cotte le scolava. A parte in una padella scaldava un po’ d’olio (avevamo l’olio d’oliva, ovviamente più che extravergine, “fatto in casa” da nostri parenti abruzzesi), poi ci metteva le erbe con un po’ di sale e rosmarino facendole amalgamare (=straginare) ancora per qualche minuto. Una variante poteva essere “imbiondire”  un po’ d’aglio che toglieva prima di mettere le erbe, o mettere insieme alle verdure delle patate precedentemente lessate, o mettere anche un po’ di salciccia.

Oggi le raccogliamo io e mia moglie nel nostro campo. Per me raccogliere le selvatiche è una cosa che mi fa stare bene, quasi come una meditazione. La raccolta avviene per mezzo di una selezione. E’ come una specie di “caccia al tesoro”, perchè la stessa selvatica nelle varie zone del campo si presenta ad uno stadio di crescita diverso; si presenta, a volte, con un cespo “incarbugliato” con tanti getti intrecciati o in un  cespo “ordinato” con bei getti teneri.

Nella raccolta cerco di prediligere la biodiversità: non raccolgo solo ad esempio aspraggini e crespigni ma anche altre selvatiche. A volte unisco alle selvatiche anche piccoli ricacci di cavolo e broccoletti o cime di rapa o bietole.

Il lavaggio prima della cottura è fatto lasciandole a mollo nell’acqua il meno possibile . A volte occorrono anche 3-4 sciaqui , a causa di terra, lumache, lumachine, limacce ed altri insetti che alla fine del lavaggio “prelevo” riportandoli sotto una siepe posta vicino alla casa.

Dopo la cottura mediante bollitura , una volte scolate, le mangiamo così; a volte le condiamo con sale marino integrale, olio, limone o aceto di riso; a volte le “straginiamo”, usando o l’olio extravergine di oliva o l’olio di sesamo ed un pizzico di sale marino integrale (facoltativo il rosmarino).

Le selvatiche una volte cotte, non condite, condite o “straginate” possono essere unite ad un cereale precedentemente cotto (riso,  integrale o semintegrale o bianco (non brillato), orzo, pasta, etc.) o da mettere sopra ad una pizza, etc.

Continua…

papola
PAPOLA (Papaver rhoeas)
papole
Papole in fiore
crespigno
CRESPIGNO (Soncus oleraceus)

L’ORDINE DELL’UNIVERSO

Nel cuore l’impulso che ci fa vivere inizia nel nodo seno-atriale situato sull’atrio destro. Questo è dovuto a meccanismi chimici vari ed a riguardo si scoprono sempre nuovi dettagli e molecole.

Io credo, però, che questo non spiega la causa primaria, questa energia incessante ripetitiva. E’ come se esistesse una “intelligenza”, come se materia e non materia si compenetrassero in uno scambio biunivoco e continuo. Non mi sto riferendo a dio o simili, ma ad un Ordine dell’universo, anche quando, non capendolo, parliamo di caso.

Un aspetto “incredibile” dell’ordine dell’universo lo troviamo nella disposizione tridimensionale spiralica delle foglie sul ramo (fillotassi).

Ogni pianta arborea od erbacea che sia, a secondo della specie, ha una disposizione delle foglie sui rami caratteristica  , unica e originale , secondo certi angoli e spirali.

L’esempio sottostante è di una pianta erbacea, che ha addirittura 4 piani di simmetria.

fillotassi (640x480)

Senape, pianta erbacea; da 1 a 8 dalla foglia più vecchia alla foglia più giovane.

Considerando l’inserzione della foglia sul rachide (la lamina fogliare può essere un po’ spostata rispetto all’inserzione) ci sono 4 piani di simmetria passanti per il centro della pianta.

Gli angoli che si formano sui 2 piani verticali passanti per i punti di inserzione di due foglie adiacenti hanno un valore costante.

Questo valore, che viene chiamato divergenza è costante per ogni specie e per ogni tipo di disposizione (tassia).

Quindi in  una pianta x qualsiasi l’angolo fra i due piani verticali di due foglie adiacenti è sempre uguale , ma ogni specie ha il suo.

 

Piccola riflessione finale: se c’è un ordine nell’universo, dal macro al microcosmo, c’è un senso per tutto (anche se ho il massimo rispetto per chi non ci crede, vedi ad esempio la canzone “Un senso” di Vasco Rossi).

E questo ci può fare attraversare meglio la vita terrena.

 

 

 

 

LE PIANTE SELVATICHE DEL MIO TERRENO

Carota selvatica (Daucus carota) e Aspraggine maggiore (Picris hieracioides)
Forza e frugalità delle piante selvatiche: Carota selvatica (Daucus carota) e Aspraggine maggiore (Picris hieracioides).

Ogni zona, ogni terreno, ogni stagione ha le sue piante selvatiche.

Nel mio terreno  le selvatiche più diffuse sono allori, prugnoli, vitalbe, edere, rovi, amaranti, chenopodi, stoppioni, vilucchi, aspraggini, graminacee varie, romici, aparine,   papaveri, cicorie, senecioni, tarassaci , coreggiole, portulache, piantaggini, senapi, centocchi, malve, ramolacci,  crespigni, leguminose varie, euforbia, anagallidi, borse del pastore, parietarie, lattughe selvatiche, fumarie, mercurielle,   ranuncoli, convolvoli, bardane, borragini,  caccialepre, crepidi,  lattughe selvatiche, strigoli, raperonzoli,  veroniche,  erba morella, ortiche,  etc.

E’ importante conoscere la biologia delle piante selvatiche e le loro caratteristiche per cercare di controllarle ed “utilizzarle “ al meglio.

Ognuna ha un suo ciclo, il cui inizio, secondo me, per praticità, può essere considerato l’inverno e la fine del ciclo quando la pianta forma il seme. Lo svernamento nel terreno, cioè la forma con cui la pianta passa l’inverno, può essere:

sotto forma di seme nel caso delle piante cosiddette annuali, che hanno un ciclo di   solito tra la  primavera  e l’autunno.

sotto forma di piccolo cespo (spesso a rosetta) nel caso delle piante  cosiddette biennali e queste arrivano alla formazione del seme in estate e autunno del secondo anno.

sotto forma di rizomi, bulbi, tuberi, stoloni, radici sotterranee, da cui poi nella primavera spunteranno i germogli ed anche queste arrivano alla formazione del seme in estate e in autunno.

Quest’ultima categoria di piante si chiamano poliennali o poliannuali o perenni.

Ovviamente le due ultime tipologie svernano anche come seme, quello che formano a fine ciclo in estate/autunno. Seme che poi nel tempo formerà il cespo o il rizoma, etc.

Ogni stagione ha le sue piante selvatiche. Anche se la selvatica è presente in tutto l’anno o in una buona parte di questo, c’è un periodo in cui è all’apice della sua maturità “vegetativa”, che è  prima che inizia la “montata a seme”.

Ovviamente questa distribuzione nel tempo e nello spazio dipende dalla latitudine, altitudine, clima, tipo di terreno, metodo di coltivazione, irrigazione, etc. In linea generale  nel mio terreno:

in inverno (dicembre-febbraio) ci sono tarassaci, aspraggini, piantaggini, romici, cicorie, crespigni,  graminacee varie, etc.

in primavera tarassaci, chenopodi, amaranti, romici, papaveri, malve, piantaggini, senapi, borse pastore, cicorie, ramolacci, senecioni, aparine, stoppioni, graminacee varie, lattughe selvatiche, fumarie, leguminose varie, ortiche, ranuncoli, bardane, crepidi, strigoli , raperonzoli, erba morella, etc.

in estate chenopodi, amaranti, centocchi, mercurielle, portulache, anagallidi, vilucchi, parietarie, aparine, correggiole, stoppioni, convolvoli, etc.

in autunno  aspraggini, amaranti, chenopodi, vilucchi, lattughe selvatiche, piantaggini, malve, mercurielle, ortiche, romici, stoppioni, cicorie, crespigni,  graminacee varie, etc.

Quello sopradescritto è un quadro generale. Seguirà una scheda per tutte le piante selvatiche di cui, per la mia esperienza , posso dare qualche informazione.

In ogni articolo sull’argomento pubblicherò una scheda.

continua

AUTOBIOGRAFIA

ANCH’IO SONO STATO UN “CARNEFICE”

Il genetista R.D.Hotchkiss nel 1965 coniò per la prima volta la parola biotecnologie ed in suo lavoro intitolato “Presagi per una ingegneria genetica” scriveva : < Coloro che hanno la responsabilità di insegnare e scrivere di scienza compiranno il loro storico dovere aiutando il nostro pubblico a riconoscere e valutare queste possibili conseguenze, per evitarne gli abusi. Poiché certamente questi si vanno facendo >.

Ian Wilmut, lo scienziato che clonò la pecora Dolly  e che pubblicò “La seconda creazione: l’era del controllo biologico” (libro alquanto pretenzioso in cui l’autore considerava una potenzialità benefica il lavoro svolto), riconsiderò poi criticamente la propria esperienza per ammonire circa i pericoli inerenti a quelle tecnologie.

Dov’è finita quella onestà intellettuale?

Personalmente ho conosciuto scienziati e ricercatori che seguono pedissequamente la corrente, in maniera acritica, proclamando ad esempio l’assenza di rischio, senza entrare nel merito. Qualcuno per interesse, qualcuno per “ignoranza”, qualcuno per solidarietà di corporazione,  qualcuno per pigrizia…

Rispetto all’ogm  l’obiezione che spesso ho riscontrato è questa: in fondo con la manipolazione genetica non facciamo altro che “accellerare” quello che in natura avviene, anche se con tempi più lunghi, con le mutazioni, incroci, ricombinazioni, etc. Questa risposta che mi è capitato spesse volte di sentire è “strana”, anche perchè non è scientificamente vera.

Anch’io sono stato un “carnefice” anche se in gran parte “teorico”.

Da bambino passavo parte delle vacanze estive presso la famiglia di mio padre in Abruzzo. Era una famiglia mezzadrile, i cui tanti componenti vivevano insieme in una grande casa colonica e coltivavano un terreno, prevalentemente ad ortaggi.

Poi, con la fine dell’estate ed in seguito con l’inizio della scuola, tornavo a vivere in un condominio ad Ancona. Anche adesso i ricordi di quando ero bambino provengono tutti da quei periodi passati in Abruzzo.

Mi ricordo di mio nonno che con pazienza mi insegnava i nomi delle piante e mi portava nella stalla per farmi vedere gli animali e qualche volta mi faceva fare un giro sul carretto trainato dai buoi. E quando potevo ero sempre nel campo a fare le mie “scoperte”.

Poi, per diversi motivi, dai 10 anni in poi, passai le mie estati ad Ancona e così piano piano mi scordai dell’Abruzzo. Però ho la presunzione di pensare che un legame mi rimase, una “sensibilità” con le piante, gli animali, con la natura.

Una volta rimasi “scioccato”(avevo circa 11 anni) quando un compagno di gioco staccò la coda ad una lucertola “per vedere se ricresceva” o quando avevo saputo che c’erano dei ragazzi che avevano catturato un gatto e poi l’avevano gettato da un dirupo per vedere se sopravviveva. Ai miei tempi esistevano questi “giochi” innocentemente sadici e malvagi.

Poi passarono altri anni: la scuola media, il liceo scientifico…

Negli anni 80 mi iscrissi alla facoltà di Agraria di Bologna. Di agricoltura biologica o naturale ancora si parlava molto poco. C’era ancora la spinta della rivoluzione verde, della superiorità delle varietà ibride e della chimica.

L’università, tranne qualche eccezione, era “appiattita” su questo modello di agricoltura a forte imput tecnologico. Vivendo e “respirando” in questo contesto assimilai certi principi ed arrivai a pensare che senza i semi moderni, la chimica, i concimi, gli insetticidi, i diserbanti non si potesse arrivare a dei raccolti economicamente soddisfacenti. E che l’insetto utile fosse quello morto.

Pensavo: le varietà devono essere ibride e selezionate, perchè producono di più e sono migliori da tutti i punti di vista: morfologico, genetico, organolettico, etc. Con schematismi e semplificazioni (che oggi ritengo ridicole) come ad esempio la restituzione con la concimazione chimica in quantità identica rispetto all’asportazione da parte delle piante coltivate di elementi nutritivi, quantificati attraverso il peso delle loro ceneri. L’eliminazione ad ogni costo di tutte le erbe spontanee sulla coltura con trattamenti diserbanti per eliminare la più piccola competizione.

Pensavo che l’agronomo era bravo quando azzeccava il tipo di diserbante più adatto per quella coltura in quella determinata epoca…

Ancora non mi ero laureato e, siccome volevo fare pratica ed anche per motivazioni economiche, mi iscrissi come bracciante agricolo. La pratica era quella che mi mancava. Con abbastanza arroganza volevo fare ed imparare un po’di tutto.  Incominciai a fare i più svariati lavori agricoli mai fatti prima: trattorista, potatore, innestatore, zappatore, campagna del grano, campagna della bietola. Poi, grazie ad un fattore[1], conobbi un rappresentante di una multinazionale chimica. Volendo fare anche quella esperienza,  incominciai a girare insieme a lui per le campagne della provincia bolognese nei periodi che non ero occupato con gli altri lavori. Così ebbi modo di vedere le diverse realtà agricole: frutticole, cerealicole, ortive, etc.

Lo schema era più o meno sempre lo stesso: giro in azienda; il rappresentante, con me dietro e l’agricoltore proprietario al suo fianco, che girava tra i filari di alberi da frutto o altre coltivazioni e improvvisamente si bloccava, tirava fuori dalla tasca una lente e su una foglia tra mille scorgeva un afide o un ragnetto rosso (capitati lì chissà come) e “terroristicamente” faceva presente all’agricoltore che se non si interveniva questi si sarebbero diffusi enormemente e si sarebbe rischiato la perdita del raccolto.

Poi si andava a casa dell’agricoltore. Il rappresentante dapprima porgeva all’agricoltore un depliant dell’ultimo miracoloso prodotto diserbante  e poi tirava fuori dalla borsa il blocchettino delle ricette (come il medico) e faceva la sua brava ricetta chimica. Mentre il rappresentante scriveva l’agricoltore stava rispettosamente in silenzio.

Alla fine l’agricoltore ringraziava. L’agricoltore, solo fino a pochi anni prima ancora quasi contadino, “costretto” a cambiare con la speranza di diventare più “ricco”.

Se avesse saputo! Che sarebbe dovuto andare a lavorare in fabbrica, che non avrebbe potuto dare una tranquillità economica e di vita ai suoi figli come i suoi genitori avevano fatto con lui e che nelle peggiore degli ipotesi avrebbe dovuto vendere parte o tutta la proprietà.

E poi c’era il “rito” del pranzo. Io e il “mio” rappresentante ci vedevamo con altri rappresentanti di altre multinazionali (ognuno aveva orgogliosamente il suo pezzettino di territorio e i suoi agricoltori) in un ristorante. Ancora mi ricordo dei discorsi che si facevano a tavola sulla efficacia e tossicità dei prodotti, sui vari periodi di carenza non veritieri scritte sulle confezioni, sul vantarsi delle “fregature” date agli “ingenui” agricoltori, con competizioni stucchevoli su chi aveva venduto di più e sui premi conseguenti. Mi rimase impressa una frase che un giorno venne detta: <quando l’agricoltore distribuisce un diserbante è come se avesse in mano un mitra>.

Questa esperienza mi fu molto utile: incominciava (allora non ne ero consapevole) ad insinuarsi qualche dubbio nel cervello, un piccolo tarlo ancora quasi latente, che però iniziava a rosicchiare le mie certezze.

Nel 1980 mi laureai in scienze agricole e forestali. Negli anni successivi continuai a girare presso aziende agricole insieme ad una squadra di potatori ed innestatori. Finchè, a seguito di una proposta di lavoro incominciai a lavorare in una di queste aziende in modo continuativo come dipendente al seguito del fattore. Questo sarebbe andato in pensione da lì a 2 anni, lasciandomi il suo posto, dopo avermi insegnato le varie mansioni, anche burocratiche.

Ma le cose non andarono in questo modo, perchè dopo pochi mesi il fattore si ammalò di tumore al fegato e dopo poche settimana morì. Mi rimase impresso nella memoria quello che mi disse una volta che andai a trovarlo in ospedale. Si rammaricava di tutti i prodotti chimici che aveva dato senza nessuna protezione e quindi respirato ed era adesso consapevole che questo fosse stato la causa del suo tumore. Mi disse: <ormai è tardi per tornare indietro>.

I miei dubbi aumentarono, ma ancora la contraddizione evidentemente non era al suo punto di non ritorno tale da provocare il cambiamento. Cosa che sarebbe avvenuta gradualmente negli anni successivi anche grazie ad altri “incontri”.

Tutto quello che ci capita e le “contaminazioni” con le persone che incontriamo in questa vita terrestre concorre a cambiarci, a modificarci. In fondo anche questa può essere chiamata variabilità e fa parte dell’ordine dell’universo, è una sua legge, insieme all’altra legge, quella dell’equilibrio. Sembrerebbe una contraddizione ma non lo è. Come ad esempio il cuore, variabile nelle sue due fasi principali, che sono opposte, di sistole e diastole, di contrazione e dilatazione.

Ma affinchè possa essere possibile la vita queste due fasi opposte devono essere in equilibrio…

Ma mi sono fatto persuaso che è stato soprattutto grazie a quel legame di bambino, possibile grazie ai miei ascendenti, se piano piano ho iniziato a cambiare la direzione del mio pensiero e poi delle mie azioni.

[1] Il fattore è il responsabile, il direttore dell’azienda agricola. Di norma retribuito dal proprietario.

CONTINUA